
PROCESSO AGLI 88
- autori: RICCARDO COLAO - NANDO CASTAGNA - FRANCESCO SCHIFINO
pag. 144 - documentazione fotografica inedita - cover a colori con alette - Unico documento esistente sull'unica vicenda che vide la resistenza fascista al Sud contro lo sbarco degli alleati.
La massiccia dose di testimonianze anteposta alla presentazione di questo volume si rende necessaria al fine di introdurre e sviluppare la tesi che sosterremo basandola quantomeno su presupposti scritti antecedentemente e che non possono essere additati come giudizi di parte.
Qualcuno, inoltre, ha scritto altrove, che l'Italia del dopoguerra era “priva di valori, perché il tradimento era stato il cemento che non permise lo sbocciare dell'amor patrio, né il candido fiore dell'orgoglio nazionale”.
Del resto la Repubblica fondata costituzionalmente sul “lavoro” si è sviluppata gemmando sulle successive menzogne che hanno ingigantito l’esaltazione esasperata del tradimento della Monarchia, che mascherò il fattore “cobelligeranza”, a discapito del totale disprezzo della vita e della morte di quanti scelsero di combattere, per coerenza, a fianco della coalizione originaria al momento della dichiarazione di guerra del 10 giugno 1940.
Questi soldati non avrebbero potuto vincere una guerra persa e nemmeno mutare le sorti di un conflitto ma contribuirono a salvare, mantenendo fedeltà al giuramento prestato, giusto o sbagliato che fosse, l’onore dell’Italia tradita da casa Savoia, in balia delle orde comuniste al nord est, dell’invasione americana al sud, dei tedeschi al confine austriaco. Ognuna di queste forze agiva per un interesse specifico che nulla aveva a che vedere con l’integrità geografica dei confini italiani.
Il 25 aprile è la data che celebra la festa della liberazione, ma la stessa ricorrenza rappre-senta e rammenta, pietra miliare sulla strada dell’avvenire, l'onta che pose la Nazione di fronte al dilemma storico di come si potesse distinguere una vittoria da una disfatta.
Lo stato repubblicano democratico riconobbe, come è risaputo, ufficialmente solo la resistenza partigiana, omettendo il ricordo dei caduti combattenti nelle milizie della Repubblica Sociale Italiana. Quegli eroi privi di onori, e glorie, giacciono nell’oblio scavato dagli storici opportunisti che proditoriamente si sono appropriati di un naturale diritto in democrazia, comune a tutti i cittadini, riservandosi il diritto di giudicare e separare il bene dal male.
Prova ne è che le testimonianze riportate in apertura, pur concepite da “stranieri” sono le sole considerazioni che obiettivamente restituiscono giustizia ai martiri di Salò.
A poco più settanta anni dalla fine del secondo conflitto mondiale si rende necessaria l’azione di pacificazione nazionale che offra il riconoscimento a chi in buona fede scelse di combattere per ideali diversi da quelli propagandati dai partigiani di fede comunista (i quali sognavano un Italia legata all’Unione Sovietica di Stalin e in parte contribuirono alla fagocitazione dell’Istria e della Dalmazia alla Jugoslavia di Tito).
Per costoro, all’epoca dei fatti, l’unico interesse non era certo restituire l’Italia e la democrazia agli Italiani bensì consentire al comunismo bolscevico di impossessarsi della Patria per farne una colonia del comunismo russo. Dunque sostituire una dittatura ad un’altra dittatura. Lo sporco gioco riuscì nei territori istriani ove le bande rosse permisero alle truppe di Tito di fare scempio dei connazionali e dei loro beni. Persino Trieste rischiò identica sorte. Solo nel 1954, a quasi un decennio dalla fine del conflitto, il Tricolore tornò a sventolare all’interno della zona neutra stabilita tra i confini dell’Italia e quelli della Jugoslavia.
L’assegnazione del giorno della memoria per l’orribile eccidio dei fiumani, dei triestini e degli istriani precipitati vivi e legati nelle foibe è un tardivo riconoscimento che consente, agli storici imparziali, di riscrivere la storia, rivendicando la giustizia per i vinti. Il voler sporcare la veridicità storica falsandone i contenuti è tutt’oggi attività sistematica-mente praticata dai partigiani comunisti superstiti, che insistono nella spietata ed infame missione di uccidere sia nel ricordo, sia nell'anima, quanti non sono riusciti ad assassinare durante la fine della guerra e persino nel periodo post-bellico.
Il massacro degli italiani sprofondati nelle foibe, quello della famiglia Govoni, l'assassinio di Mussolini, la carneficina dei ministri che componevano il Governo della Repubblica Sociale e dei suoi più fedeli uomini, tra cui il catanzarese console Vito Casalinuovo, l'uccisione di Claretta Petacci, donna innocente e al di fuori dal contesto politico il cui unico torto fu quello di amare l'uomo più potente e più odiato dagli avversari comunisti, gli omicidi perpetrati nei riguardi degli stessi partigiani bianchi e di fede cristiana, lo sterminio di chiunque scegliesse di opporsi ai crimini partigiani sono le prove che generano sdegno il cui eco, coperto dal clamore delle bugie prodotte dall’imponente macchina propagandistica dei finti democratici,
non si è ancora spento del tutto.
Storia, cultura, verità, un trittico concettualmente amministrato dai governi catto-social-comunisti, alternatisi per ben più di venti lustri di governi-ladri, non ha spento il bisogno prepotente che impone ai ricercatori di riscrivere i fatti per come si sono realmente svolti. Il popolo italiano, i contemporanei e le future generazioni che lo costituiranno hanno il diritto ed il dovere di apprenderli e di elaborarli senza filtri ideologici.
L’energia vitale, che gli storici recuperano per rivisitare le menzognere versioni di chi maramaldescamente si proclamò “vincitore”, quando era evidente che la guerra sarebbe stata vinta dagli “anglo-americani”, è un atto di ribellione per reagire al solo “coraggio” che costoro posero in evidenza saltando sul carro dei vittoriosi.
Gli “ottantotto”, che coraggiosamente impugnarono il “gladio” per l’effimero tentativo di arrestare l’invasione anglo-americana, possono essere considerati storicamente i soli a voler compiere l’unico esempio concreto di resistenza fascista repubblichina nell’estremo Sud Italia, che dopo “l’8 settembre” poteva già definirsi territorio occupato.
Scoperti e arrestati pagarono con anni di galera il loro gesto sino a quando non benefi-ciarono dell’amnistia concessa dal nuovo governo repubblicano subentrato alla Monarchia.
Col trascorrere del tempo, da alcuni decenni, si amplifica e trova spazi e spunti la tendenza al ricorrere ad un revisionismo ovunque emerga l’onestà morale di chi ha saputo riconoscere i propri errori.
Non abbiamo alcuna presunzione se non quella di dimostrare, a quanti la pensano diversamente e vivono nella certezza che il bene era tutto da una parte e il male esclusivamente dall’altra, come ogni scelta possa essere compresa e giustificata se operata nel rispetto dell’amor di Patria.
Ci basta parlare, diffondere e ristabilire, pur virtualmente la realtà storica, scevra da interpretazioni partitiche e politiche.
Restituire agli eroi dimenticati, la facoltà a dichiararsi ancora “presenti” stabilisce, oggi come ieri, e ieri come oggi che certi valori vivono oltre la morte.
Il silenzio degli innocenti, come il sangue dei vinti, non accettano ipocrisie e non grondano vendette, bensì reclamano, giustizia e verità!