
14/40 - ALESSANDRO CORNACCHIA - Titani Editori - Formato cm. 14,8 x 21 - Pagine complessive 102 - Cover a colori
14 di 40. 14 le storie, 40 la quarantena. I numeri come protagonisti in una raccolta di storie scritte in quarantena. Il numero come migliore forma per comunicare, la lingua più conosciuta al mondo. Il tutto ispirato da questo periodo di quarantena unicamente stimolante, dove ognuno è costretto ad affrontare i propri pensieri ed a riflettere sulla propria vita. Io l’ho fatto scrivendo e lasciando andare la fantasia. Spero che tu che leggerai questo scritto possa trovare una lettura leggera e libera.
PROLOGO: Fino ad un mese fa il Coronavirus o il Covid-19, come lo chiamano i virologi e scienziati, era solo una storia lontana. Una storia cinese. La Cina è un mondo lontano. Strano, sconosciuto. In realtà forse per quanto mi riguarda, meno, visto che i miei genitori avevano deciso di trasferirsi lì da ormai un anno e mezzo. Ai nostri occhi quel lontano paese però non doveva sembrare così distante. Sfido chiunque stia leggendo queste parole a vivere un solo giorno senza utilizzare dieci e ripeto, dieci, cose prodotte in Cina. Apri gli occhi la mattina. Accendi il telefono. Qualunque telefono. Sarà composto da almeno 50 componenti prodotti nel grande paese. Sfida conclusa.
Ero in Italia fino a pochi giorni fa. Ora sono tornato in Irlanda. Perché qui studio. Una settimana fa, mi sono svegliato con una notifica da un giornale online italiano. Il virus è arrivato. È arrivato in Europa. È arrivato in Italia. È arrivato in Lombardia e Veneto. I giorni successivi a quello non hanno portato migliori notizie. Anzi, la catastrofe si iniziava ad assaggiare.
È il mio secondo anno in Irlanda, e devo ammettere che come italiano mi sono sempre trovato benissimo qui. Anzi, in certe situazioni la nostra cultura assume un fascino agli occhi locali. Tanto di guadagnato. Ma ora la situazione è cambiata. L’italianità ha assunto una pericolosa e velata aura alla quale gli altri non sembrano intenzionati ad avvicinarsi. In realtà nei casi a me più familiari, la condotta dei miei coetanei assume forse una forma più simile alla curiosità verso la nostra situazione, anziché paura.
L’altro giorno ne parlavo con il mio coinquilino italiano, “la situazione può davvero cambiare da un momento all’altro” ci dicevamo. Oggi hanno chiuso le università anche qui, chissà cosa succederà alla nostra sessione fra un mese.
Oggi ci hanno garantito che la sessione sarà online. Chi vuole può tornare in Italia, le università per l’anno 2019/2020 non riapriranno. Ed ora? Che fare? Andare nella tana del lupo, ma almeno andare in terra conosciuta o rimanere lì, lontano da tutti, anche dal virus?
Onestamente la decisione è davvero complicata. Entrambi gli scenari sono complessi da prevedere. Chiamo mamma. Chiamo papà. Chiamo la mia dolce metà. Stanno cancellando i voli per il continente, a tappeto. Prendo il volo per domani pomeriggio. Passa un’ora, cancellato. Per Torino? C’è ancora con scalo, lo sposto allora. Prenotato. Parte tra 12 ore, vado a preparare la mia vita in un valigione. Cancellato. No dai. Per Genova? C’è ancora per fortuna. Premo invio. Questo volo non è più disponibile. Estendo la ricerca su tutta Italia. Fatemi tornare a casa!
Via, Cuneo, Bergamo, Bologna, Roma. Dai almeno Roma, mia bella capitale. Un bel mucchio di niente. Nizza. Perché no? La vicina Francia. Spostato. Domani, in teoria, dovrei prendere sei aerei diversi contando gli scali. L’aereo parte alle 6 di domani mattina. Sono le 21. L’ultimo pullman parte alle 2, su a far le valige di un anno intero. “Hanno cancellato il pullman delle 2” mi urla il coinquilino dal piano di sotto. No ma davvero. È una sfida con il karma. L’ultimo pullman parte alle 23:30.
Valigia farcita di vestiti asciutti e non. Non credo la vorrò mai più aprire. Ma almeno sono riuscito a chiuderla. Prendo di corsa il pullman sempre maledettamente puntuale. Ah, ma la cena? Chissà. Le 4 ore in aeroporto sono una preghiera alla non cancellazione di quell’aereo.
La compagnia aerea è in ritardo. Ma quando mai una compagnia tedesca è stata in ritardo? È finita, me lo cancellano. O forse no, quella signora sembra una hostess. Si è una hostess. Siamo salvi. Che poi sono in uno dei più grandi aeroporti d’Europa con un virus circolante, l’ultima cosa che posso dire è che sono salvo.
Il volo è un connubio di terrore che gli starnuti accanto a me non siano innocui e pensieri emozionali sulla situazione in cui riversa il mio bel paese. Il pensiero della mamma Italia dilaniata da un virus mortale è terrificante. Troppo brutto per essere un incubo, troppo reale per risolverlo con una sveglia.
Atterro in Germania. Il secondo volo è da orario. Ma i miei non possono venirmi a prendere a Nizza. Sono bloccati a casa. i treni sono cancellati quasi tutti. Dopo il mio arrivo, tutti. Chiamo gente. Ah, c’è l’amico del mio amico che vive a Nizza. Chiamo l’amico, che chiama l’amico. Vai a questo indirizzo. Vedremo che fare. Mangio qualcosa dopo 12 ore di digiuno. E parte il secondo aereo.
Nel volo: l’idea. Tutto questo casino lo devo raccontare, ma non perché interessi alla gente. Lo devo scrivere per ricordare. In questi giorni per quanto drammatici, una parte di storia si sta scrivendo.
Atterro. Taxi per questo indirizzo grazie. Aspetto un taxi 30 minuti. Un’ora. Trovato. Maledetti. Raggiungo l’indirizzo. Mi apre il mio angelo custode. Luce nel buio. Salgo ed il mio unico ringraziamento possibile è una promessa per i tempi migliori. Dormo sulla mia stessa valigia per terra. Non voglio contami- nare. Addormentatevi una volta con la mascherina. La mattina avrete solo voglia di darvi fuoco alla faccia.
Mattino dopo. La colazione è un lusso non da questa situazione. Stazione di Nizza. Però carina Nizza dai. Treno. È deserto. Biglietto a peso d’oro. Ma portami a casa ti prego. Odore di Ventimiglia. Lacrimuccia. Italia. Pelle d’oca e brividi lungo la schiena. La tratta Ventimiglia-Savona è sempre stimolante, anche con la nuova tratta nell’entroterra. Magari in quarantena mi rimetto a scrivere. Non so bene cosa, ma perché no. Savona.
Un deserto. Sarà la stagione, sarà il clima. No, sarà che non si può proprio uscire. Il panorama è spettrale. Al cambio per Torino siamo in due in tutta la stazione. Perché fanno partire un treno per due persone?
L’arrivo a Torino è ancora peggio. Noi piemontesi non abbiamo mai amato il contatto o il caos, questo è certo, ma così è troppo anche per noi. Prendo la metro. Vado nella vecchia casa delle zie, non posso stare con tutta la famiglia. Mi aspettano 14 giorni di assoluta solitudine. Tempo per pensare. Tempo per riflettere. Tempo per riposarmi. Tempo che non dimenticherò mai nella vita.